martedì 29 dicembre 2015
Polpette di magro, al limone e prezzemolo
martedì 22 dicembre 2015
Cipolline in agrodolce con chiodi di garofano e pepe nero - Sweet and sour onions with cloves and black pepper
lunedì 21 dicembre 2015
Vellutata di cavolfiore con pepe e semi di senape
lunedì 14 dicembre 2015
Cappelletti in brodo, di casa mia
giovedì 10 dicembre 2015
Meringata diplomatica, con cachi caramellati
Il forno acceso e gli occhi che scrutano, attraverso il vetro, quello che sta succedendo al suo interno, per me rimane un’esperienza che mi riempie di stupore. E’ un piccolo prodigio e così, ogni volta, ne rimango stregata.
Se poi, in quella piccola cosa che sta prendendo forma al di là del vetro, affidi un messaggio d’amore per la donna più importante della tua vita che con la freschezza di una ragazzina si appresta a festeggiare il suo ottantaduesimo compleanno, bhé, allora le tue aspettative arrivano alle stelle.
‘Speriamo che me la cavo!’
E’ uno dei dessert che preferisco, bello, elegante, di una bontà disarmante.
Nonostante sia, in realtà, molto semplice da preparare (con solo qualche piccola accortezza da seguire), riesce a stupirmi ogni volta per la grazia della sua forma e per quella sua cedevolezza e cremosità tale che quando affondi il cucchiaio lo fai sempre con un so ché di riverenza.
Mi inchino a te mia dolce meringata.
Molti la conoscono però come ‘Pavlova’ ed ha una storia commovente.
Si racconta che quando lo chef australiano Berth Sachse conobbe Anna Pavlova, rimase letteralmente folgorato dalla ballerina russa, una donna minuta, delicata e sempre sorridente, interprete magistrale della ‘morte del cigno’ in un teatro di Perth nel 1926. Sapendo della sua passione per i dolci, Berth, che era il pasticcere dell’albergo in cui Anna soggiornava durante la tournée, ogni giorno preparava per lei dessert di ogni tipo per stupirla e strapparle un sorriso. Terminata la tournée però Anna tornò in Europa, Berth cadde in una profonda depressione e lavorò per molto tempo senza più ispirazione. Cinque anni più tardi giunse in Australia la notizie della morte di Anna a causa di una polmonite, Berth pianse disperato finché un giorno decise di creare un dolce che la ricordasse per l’eternità. Pensò, allora, ad una meringa che fosse dura all’esterno come dovevano essere le punte delle scarpette su cui lei danzava ma dentro morbida, leggera e spumosa come le sue movenze piene di delicata sensualità e ripiena di una crema soffice e pannosa per ricordare le piume impalpabili del cigno. Provò e riprovò finché, aggiungendo aceto e maizena, trovò la formula giusta per la sua adorata Pavlova.
Anche questo è amore.
La versione originale prevede come farcia la semplice panna montata e dei frutti rossi come lamponi o fragoline, per la mia meringata ho preferito creare una crema diplomatica non molto dolce ma più consistente di una panna montata e al posto di frutti rossi ho messo dadini di caco delicatamente caramellato e al profumo di liquore.
E’ un dolce che si presta ad essere personalizzato a seconda della stagione quindi non vi resta che sbizzarrirvi e dedicarlo a qualcuno che amate tanto. Io l’ho fatto per il compleanno della mia giovane mamma.
p.s. con l’occasione vi lascio anche il link ad un post che mi è stato dedicato da Malvarosa Edizioni e grazie alla brava Anna Baldini !
Ed ora prepariamo la ricetta!
Ingredienti:
per la meringa:
6 albumi a temperatura ambiente (elemento essenziale per cui assicuratevi di tirare fuori dal frigorifero le uova almeno un paio d’ore prima)
2 cucchiaini di maizena
2 cucchiaini di aceto di mele
220 g di zucchero finissimo
3 gocce di essenza di fiori d’arancio
per la crema diplomatica:
6 tuorli
120 g di zucchero
45 g di maizena
500 ml di latte
scorza di limone
250 ml di panna fresca
1 caco mela
2 o 3 cucchiai di zucchero
uno spruzzo di liquore (cognac, rum, armagnac…)
Procedimento
Frullate lo zucchero in un cutter in modo da renderlo impalpabile (se volete potete usare anche zucchero di canna).
Preriscaldate il forno a 120°.
Mettete gli albumi a temperatura ambiente nella ciotola della planetaria ( o in una comune ciotola)e iniziate a montare a velocità media con la frusta fino a quando inizierà a formarsi la prima schiuma bianca. A questo punto continuate a montare a velocità più sostenuta versando poco alla volta lo zucchero. Quando avrete aggiunto almeno metà dello zucchero alternate con la maizena, l’aceto e l’essenza di fiori d’arancio e poi ancora zucchero fino ad avere un composto ben sodo con picchi sostenuti e molto lucido. Ci vorranno almeno una decina di minuti di lavorazione.
Rivestite una teglia con carta da forno su cui avrete disegnato un cerchio (io ho utilizzato come sagoma un piatto pari) per dare una forma rotonda alla vostra meringa. Con una spatola iniziate a ricoprire la superficie del cerchio disegnato con la meringa, proseguendo sul bordo in modo da formare una specie di grande nido.
Infornate abbassando la temperatura a 90°/100°, posizionando la teglia nel ripiano più basso del forno per circa 1 ora e 30 / 2 ore.
Questo tipo di meringa dovrà risultare croccante nello strato esterno e morbida e spumosa (ma non appiccicosa) nella parte interna.
A fine cottura spegnete il forno, aprite leggermente lo sportello e lasciate che la meringa si raffreddi per un’oretta per poi sistemarla su una grata e lasciarla raffreddare completamente.
Potete prepararla anche il giorno prima.
Per la crema diplomatica ( crema pasticcera + chantilly):
mettete il latte in un pentolino con un pizzico di sale, la scorza di limone e lasciate scaldare fino quasi a bollore.
Nel frattempo, in una ciotola, montate i tuorli con lo zucchero fino a farli diventare chiari e spumosi (usate una frusta elettrica), unite la maizena e continuando a montare a velocità minima aggiungete un mestolo di latte caldo. Versate tutto il contenuto della ciotola nel pentolino con il latte rimanente e portate ad ebollizione. Cuocete per un minuto e, dopo aver eliminato la scorza del limone, trasferite la crema in una ciotola pulita, ricopritela con pellicola alimentare in modo da farla aderire bene sulla superficie e lasciate che si raffreddi completamente.
Montate la panna (io ho preferito non aggiungervi zucchero) e amalgamatela, con tutta la delicatezza di cui siete capaci, alla crema pasticcera aiutandovi con una spatola.
Lavate e asciugate un caco mela (quelli più sodi e meno tozzi per intenderci) eliminate il picciolo, la buccia e tagliatelo a cubetti. In una padella mettete il caco a dadini con 2 cucchiai di zucchero e uno spruzzo di liquore (rum, cognac, armagnac..) e lasciate che si ammorbidiscano si fiamma dolce. Ci vorranno veramente pochissimi minuti. Lasciate intiepidire.
Un’oretta prima di servire farcite la meringa: riempite l’incavo della meringa con la crema diplomatica a cui, volendo, potete mescolare parte dei dadini di caco, e decorate con i restanti dadini e qualche fogliolina di menta fresca. Tenete in frigorifero fino al momento di servirla.
Strafogatevi che merita!
Pippi
martedì 1 dicembre 2015
Torta di riso salata, con porri e broccoli
Ogni famiglia credo abbia, nella propria storia culinaria, dei piatti ricorrenti, più o meno legati alla tradizione, e diventati un tratto distintivo e riconoscibile di quel nucleo di persone.
In casa mia, oltretutto, non siamo mai stati creativi nell’intitolare certe preparazioni di uso quotidiano che hanno mantenuto nel corso degli anni dei nomi piuttosto generici ma che seguivano, sotto sotto, una logica. Per esempio, nel nostro lessico familiare, esistono due preparazioni, il ‘riso del mare’ e la ‘minestra da magro’, che, in realtà, sono la stessa cosa ma di consistenza diversa. Il riso, che mia mamma preparava la mattina presto, stipava dentro il thermos e portava sulla spiaggia, all’ora di pranzo era diventato così tiepido e cremoso, che era facile e piacevole da mangiare sotto l’ombrellone dopo una bella nuotata. La minestra, invece, brodosa e bollente, era più impegnativa ed era destinata ai primi freddi, anche quando in casa non c’era granché ma avevi voglia di qualcosa di buono. Perché ‘da magro’? Semplicemente perché è una minestra fatta con poco: patata, acqua e una puntina di concentrato. Fosse finita qui, il nome calzerebbe a pennello, il fatto è che il segreto di tanta bontà, sta invece nel condimento: pepe, noce moscata, una bella noce di burro e parmigiano a pioggia! Divina. Ma il cavallo di battaglia di mia mamma è sempre stata la sua TORTA GELATO che di gelato, ovviamente, non ne ha mai visto neanche l’ombra! Ma questa è un’altra storia di cui vi parlerò prestissimo.
Questa, invece, l’abbiamo sempre chiamata “torta di riso amara”, per distinguerla, sbrigativamente, da quella “ di riso dolce” che sapeva di limone. Famiglia strana la mia. In realtà non è amara per niente, è solo salata e peposa, perché di pepe, qui, ce ne andrebbe in abbondanza.
E’ un piatto tipico spezzino che ha sempre fatto parte della cucina di casa mia. Per la festa di San Giuseppe era tradizione preparare questa torta che veniva cotta nel forno a legna nella corte davanti a casa di nonna Iride. Devo però ammettere che di quella ricorrenza ho solo tre ricordi indelebili nella mente: fiera, caramelle e palloncino legato al polso, non necessariamente in questo ordine. Ho probabilmente iniziato ad avere contezza di questa tradizione culinaria solo successivamente quando, passato il tempo delle caramelle e dei palloncini, mi sono ravveduta su quelle che sono le cose importanti della vita, come una bella fetta di torta di riso salata, magari tiepidina e pepata da farti rimanere senza fiato.
In realtà questa torta veniva preparata durante tutto l’anno e spesso per recuperare gli avanzi di riso. La ricetta originale prevede semplicemente del riso lessato, formaggio, uova e pepe, racchiusi in un guscio di pasta povera, mia nonna però aggiungeva alla farcia anche delle verdure come del cipollotto (la parte fogliare verde) e, in piena estate, teneri zucchini tagliati fini fini, ad esempio.
Questa è la mia versione e, visto che l’inverno è alle porte, insieme al riso ho messo del porro e rosette di broccolo, che è persino molto fotogenico. La base di pasta è fatta con farina non raffinata in modo da avere un risultato più rustico e corposo. Non ho abbondato con il pepe che nella ricetta originale andrebbe aggiunto non solo all’interno della farcia ma anche distribuito sulla superficie prima di infornarla, al suo posto ho invece preferito aggiungere del timo fresco. Quindi, pepe sì, ma senza esagerare.
E voi, come la vedreste?
Ingredienti:
per la pasta :
150 g farina integrale
200 g farina tipo 1
3/4 cucchiai di olio extravergine d’oliva
una presa di sale
acqua q.b.
Farcia:
350 g di riso lessato
80 g di parmigiano reggiano grattugiato
4 uova
1 broccolo piccolo
1 porro medio
timo
pepe
sale
Preparate la pasta mescolando le due farine con il pizzico di sale in una ciotola, poi unite l’olio, iniziando ad impastare, e l’acqua, versandola lentamente in modo da valutare la consistenza dell’impasto. Trasferite l’impasto in un piano infarinato e lavoratelo bene fino a quando sarà diventato omogeneo. Tenetelo a riposo sotto una campana di vetro per una mezz’oretta. Nel frattempo ungete la teglia con poco olio e preparate le verdure: dividete il broccolo in cimette, lavatelo bene sotto acqua corrente, affettate il porro dopo aver eliminato la parte radicale e le foglie esterne, mettetelo in un colapasta e passatelo sotto acqua fredda per eliminare le impurità. Scottate per pochissimi minuti, separatamente, sia il porro che il broccolo, in acqua bollente addizionata con 1cucchiaio di aceto di vino bianco per mantenere vivido il loro colore. Scolate le verdure e passatele in una ciotola con acqua fredda e ghiaccio oppure semplicemente raffreddatele velocemente sotto acqua corrente.
In una ciotola mescolate il riso con le uova, il formaggio e il pepe in dose generosa, aggiungete le verdure raffreddate in modo da non far stracciare le uova, aggiungete qualche fogliolina di timo.
Stendete la pasta in una sfoglia piuttosto sottile vedrete che il riposo la renderà particolarmente elastica e malleabile.
Con la pasta foderate una teglia di circa 22/24 cm di diametro, versate all’interno la farcia di riso, ripiegate la pasta sul ripieno, dopo aver eliminato quella in eccesso e aggiungete delle cimette di broccolo che avrete tenuto da parte. Infornate a 180° per circa 40/45 minuti. Con la pasta rimanente potete realizzare dei gustosissimi crackers.
Pippi